…] “Federico si è dedicato con tanta radicalità e coraggio al tema del paesaggio, scarnificato in una dimensione quasi bidimensionale e ridotto al grado minimo di una semplice linea che separa il dominio terrestre da quello aereo. Una linea totalmente visuale e irraggiungibile che per questo motivo si relaziona perfettamente alla natura del linguaggio pittorico, così ottico e mentale, senza però slegarsi totalmente neppure dalla dimensione del corpo. L’orizzonte non può essere raggiunto ma ciò che contiene invita a essere percorso, determinando un continuo spostamento e ri-orientamento degli stessi limiti visuali che impone. Come un confine onnipresente ma variabile e mobile, postula la possibilità di “muoversi dentro” e di vivere. Nei dipinti di Severino è sufficiente una linea per evocare questo universo di pensiero, una linea che, beninteso, non può esistere se non nei nostri occhi e nella nostra mente, da cui la natura finemente concettuale della figurazione quasi astratta dell’autore. Questo tracciato riprende la separazione originaria della creazione tra la terra e il cielo, differenza che è anche unione e che, spingendo il suo limite sempre più in là rispetto all’incedere del corpo e dello sguardo, ha la naturale facoltà di essere portatrice di distanza, se non addirittura di infinito. […] Talvolta il profilo della terra va cercato con attenzione dandosi con ritrosia in composizioni notturne e nebulose dove la superficie pittorica appare a un primo sguardo radicalmente monocroma. In questi lavori si avverte l’ebbrezza del perdersi, di muoversi nello spazio senza punti di riferimento con le possibilità visive limitate e quelle tattili-corporee che per contrapposizione si affinano. Ma non appena si trova questo riferimento figurativo, magari volutamente decentrato e in dialogo con i limiti fisici stessi dei bordi del supporto, subito l’universo paesaggistico viene evocato e la composizione retrocede facendosi spazio, alludendo alla tridimensionalità, ma rimanendo comunque anche sulla superficie, nelle due dimensioni percorse dalle animate vibrazioni della materia di olio e pastelli”. […

Gabriele Salvaterra, Federico Severino_Close to the edge, Quam, 2017


“Nel processo di astrazione che Federico Severino opera, dal paesaggio lunare dell'Etna alle superfici monocrome delle sue tele informali, una coperta di colore vellutato trasforma il teatro vulcanico in pittura bidimensionale. Una pittura che racchiude, in uno strato più intenso di quello altrimenti descrittivo, l'intero dizionario di sensazioni e di colori del paesaggio stesso. Le opere con interventi su fotografia sono un esempio di come l'autore proceda con strati verticali, come un sipario, e strati sovrapposti, che nelle tele offrono una infinita varietà di colori e sotto-suggestioni di colore”.

Antonio Sarnari, Close to the edge, 2017


“… Federico Severino osserva e immerge tutto nel senso del colore, dalle cromie alle strutture materiche, in una resa barocca di toccante verità.”

Antonio Sarnari, Realismo Informale, Quam 2015


“… è nelle sue opere trama e ordito in prima linea, emozione travolta da tratti e pigmenti di pastello che abbozzano la stilizzazione del suo paesaggio senza tempo. La maestosità di quella bocca che non ha parole ma la magia e le atmosfere che i suoi occhi hanno percepito dalla sua protagonista acerrima, l’Etna il vulcano. Le prime ore del giorno, le prime che accompagnano la sera, sono pura atmosfera, sono negativi in sottrazione di luce, sono sovrapposizione di colore che ne determina la campitura omogenea e in alcuni casi si trasforma in frastagliato reticolato a volte timido e a volte invasivo. Federico Severino racconta il tempo attraversato dal tempo, l’identità è il crescendo dei segni che insieme compongono l’immagine in divenire. Verticalizzazione, armonia, equilibrio tra pressione atmosferica e umidità relativa che mostra un mondo sospeso e senza tempo, ci accompagna li dove il suo divenire accarezza le forme di un paesaggio magico e tanto temuto, questa la sua poesia pittorica destrutturata e ricomposta in immagine nuova tra segni e campiture.”

Molly Narciso, Velato Lavico, Mansourcing, 2015


“Severino oltre ad un uso sapiente delle tecniche pittoriche , possiede un senso del colore di grande equilibrio e misura. Il suo lavoro indaga la relazione tra la figura e lo spazio in cui questa è inserita, relazione risolta con intelligenza compositiva, con una traccia di baconiana memoria.”

Chiara Fasser, Premio Nocivelli 2014


“Federico Severino si relaziona con gli oggetti e con semplici momenti della vita quotidiana. I suoi lavori richiedono tempi di lettura prolungati. La sua mano non sembra sia a filo diretto con la mente per cui il quadro risulta un continuo divenire, essa diventa protagonista dopo che il pensiero si è completamente concretizzato nello spazio della mente. Si ha la sensazione che per lui sono gli oggetti l’elemento tangibile del nostro “esistere” e uno dei pochi rifugi “visibili” del nostro “sentire”. Le nostre emozioni e le nostre idee, dunque, lasciano traccia solo e unicamente attraverso il mondo delle cose ma anche in quei momenti della vita che possono apparire insignificanti.
Nei suoi lavori la profondità degli spazi è ridotta sino quasi a scomparire. Perché gli oggetti, come in una campitura, devono solo apparire. Egli qui si relazione con la grande modernità di Manet che per la prima volta nella storia dell’arte occidentale compì la rivoluzione di non eludere più, come era successo dal Quattrocento in poi. Il fatto che la pittura fosse posata o iscritta su una superficie rettangolare bidimensionale; e come Manet, per stigmatizzare questa sua principale proprietà, usa dei grandi assi verticali e orizzontali e una luce non più simulata ma quella esterna e davanti ai quali o attorno al quale si sposta lo spettatore.
Egli isola l’oggetto o la scena di vita quotidiana, quasi per indurre l’osservatore a riflettere. E ci lascia soli a relazionarci con essi per svelarne la poesia che si nasconde dietro l’apparente ovvietà.”

Massimo Papa, Relazioni, 2014